VISIONI OBLIQUE

29 novembre 2009

47/2009 – La pillola non va giù

Proteggere la donna da se stessa e impedirle di assassinare a cuor leggero l’embrione che è già essere umano al momento del concepimento, secondo madre chiesa.
È questo l’obiettivo con cui la commissione sanità del senato ha bloccato l’immissione in commercio della pillola Ru486, che materialmente e psicologicamente alleggerisce l’effetto dell’aborto chirurgico. Un uso della forza quello espresso dall’«inquisizione» governativa che andrebbe catalogato tra le innumerevoli varietà di violenza sulle donne denunciate in questa settimana.
L’intenzione è quella di rendere indisponibile in tutti i modi possibili la pillola, di mettere la donna di fronte a ostacoli e paure, di obbligarla a sottoporsi a un iter drammatico – ispezioni mentali e fisiche - e al no degli obiettori.
La donna manipolabile, corpo multiuso, è di nuovo il trofeo da esporre, più si umilia più la partita è vinta. Più si considera incapace di discernere sulla sua stessa salute, di decidere se rivolgersi a un ospedale oppure no, visto che la Ru486 non è una passeggiata, più l’immagine padronale si gonfia di potere.

VISIONS DE LA SEMAINE

Sur petit écran
:-) By the People – The Election of Barak Obama di Amy Rice e Alicia Sams
:-) Bodybuilding in Afghanistan di Andreas Møl Dalsgaard
:-)) The Wire (quarta stagione US)
UFC 106


L'incertain regard si prende una settimana di vacanza, a Parigi, e torna il 13 dicembre 2009 con il numero 49. A+

22 novembre 2009

46/2009 – h2o


Il governo ha dato via libera alla privatizzazione dell’acqua, mettendo nelle mani dei privati ciò che fino ad oggi era considerato un bene pubblico e quindi di tutti.
Attraverso un voto di fiducia, perché consapevoli di non averla, i parlamentari della maggioranza hanno deciso di consegnare l’acqua ai privati e alle multinazionali, hanno consapevolmente ignorato una legge d’iniziativa popolare, firmata da oltre 400.000 cittadini, che giace nei loro cassetti dal luglio 2007, hanno ascoltato le sirene di Confindustria, ignorando la forte sensibilità sociale e la diffusa consapevolezza popolare sull’acqua come bene comune e diritto umano universale.
Critica e indignazione.
Ma la battaglia per l’acqua pubblica è appena cominciata.
Perché l’acqua è di tutti, come l’aria, la luce, il sole, la luna che sta lassù nel cielo, tutti la guardano e nessuno la paga.
Perché si scrive acqua ma si legge democrazia.

VISIONS DE LA SEMAINE

Sur petit écran

:-) Terra di mezzo di Matteo Garrone
:-) Ospiti di Matteo Garrone
:-) Primo amore di Matteo Garrone
:-)) The Wire (terza stagione US)

15 novembre 2009

45/2009 – Luci a San Siro


Se volevate farvi un’idea di che cosa può diventare il turbo-rugby del nuovo millennio, Italia-Nuova Zelanda a San Siro fa al caso vostro. 80mila spettatori, cosa mai vista in Italia, evento costruito fin nei minimi dettagli e promosso dal gruppo Rcs. Un successo in termini commerciali ma anche molti spunti meritevoli di riflessione. Pregi e difetti, ovviamente. Cresce a dismisura l’elemento roboante e fracassone, cafone anche, a misura del pubblico che verrà, non certo degli appassionati che per tanti anni si sono sobbarcati trasferte avventurose, guidati soltanto dalla loro passione. San Siro è perfetta per questo. Qui il silenzio – parte integrante di una partita di rugby – è bandito. Se non è lo speaker petulante è l’altoparlante che bombarda musica, e se non è la musica è il pubblico che fischia per disturbare quando il cecchino avversario deve calciare tra i pali. Nel rugby non si dovrebbe mai fare, ma a San Siro (non solo qui, in verità) questa regola elementare del fair play non vale, non è rispettata. Show-biz, insomma. L’ingresso delle squadre in campo, momento rituale, è riempito prima da uno stacco micidiale haevy-metal, poi dai Carmina burana, per l’occasione mai così «carmina burina». Eppure 80 mila spettatori meriterebbero di più, di meglio. Più rispetto, considerazione, riconoscimento di ciò che il rugby è e può continuare ad essere.

VISIONS DE LA SEMAINE
Sur grand écran

:-) Francesca di Bobby Paunescu

Sur petit écran
:-) Trick’r Treat di Michael Dougherty
Miserabili, io e Margaret Thatcher di Marco Paolini
Dall’inferno alla bellezza di Roberto Saviano

10 novembre 2009

QUESTO MESE SU KULT


MICHAEL HANEKE
IL CINEASTA AUSTRIACO SCRIVE CON IL NASTRO BIANCO, PALMA D’ORO ALL’ULTIMO FESTIVAL DI CANNES, UN IMPLACABILE DIARIO D’EPOCA. UN FILM CIVILE STRAORDINARIO SULLA GENESI DELLA DISUMANITÀ. UNA PELLICOLA FORTE CHE VALE COME UNA PARABOLA CONTEMPORANEA. Q&A CON IL REGISTA
Tra arte e scienza, il cinema per Michael Haneke è lo strumento ideale per rendere
percepibili le sue proiezioni mentali. Come un antropologo della settima arte, con Il nastro bianco il regista va alla ricerca delle radici del male. Un film che intende spingersi oltre i limiti angosciosi già raggiunti da Funny Games, La pianista e Caché. A Cannes KULT ha incontrato il testimone incaricato di trasmettere la memoria storica della “covata maledetta”.

Con Il nastro bianco ritornano argomenti come la violenza e il senso di colpa…
Nella nostra società la questione della violenza è inevitabile. Quanto al senso di colpa, sono cresciuto in un universo giudeocristiano dove questo tema è onnipresente. Non è necessario essere cattivi per diventare colpevoli: fa parte del nostro quotidiano.
Come nasce l’idea del villaggio tedesco d’inizio Novecento dove ambientare il film?
Quel microcosmo rurale retto da regole sociali e morali di ferrea intransigenza, tipico di quell’epoca, era perfetto per raccontare la storia di un gruppo di bambini ai quali vengono inculcati ideali considerati assoluti e descrivere il modo in cui li assimilano secondo i dettami di una pedagogia che prevede frustate e umiliazioni.
La scelta di girare in bianco e nero?
Tutte le immagini che conosciamo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo sono state realizzate con quella tecnica. Adoro il bianco e nero e ho colto al volo quest’occasione. Mi ha permesso anche di dare un effetto di distanziamento.
Il casting è strabiliante, come ha scelto e diretto tutti questi attori?
Ho preferito volti che somigliassero alle foto dell’epoca. In sei mesi, abbiamo visto oltre 7.000 bambini perché ovviamente non era l’aspetto fisico che doveva prevalere bensì il talento. Per gli adulti ho scelto attori con cui avevo già lavorato e altri di cui conoscevo il lavoro. Quanto alla direzione degli attori, mi limito a segnalare loro se c’è qualcosa che non mi suona bene. Se il cast è buono, il personaggio funziona.
La storia raccontata pone più domande che risposte…
Il film tratta del problema universale dell’ideale deviato. Se si considera assoluto un principio o un ideale, politico o religioso che sia, questo perde umanità e porta al terrorismo. Ma non c’è nulla di più da spiegare. Il mio principio è sempre stato quello di porre domande, di presentare situazioni ben precise e di raccontare una storia affinché lo spettatore possa cercare da sé le risposte. L’inverso è controproducente poiché sono convinto che l’arte debba porre domande e non proporre risposte, le quali sono sempre sospette, a volte persino pericolose.
IL FILM
Alla vigilia della Grande Guerra, una serie di misteriosi misfatti viene perpetrata a danno di alcuni notabili di un piccolo villaggio protestante nel nord della Germania. Chi è il colpevole? Un finto film poliziesco che lentamente si trasforma in un’analisi politica-psicologica-metafisica sulla forza del male che cova in ciascuno di noi. Armato di un bianco e nero dalla neutralità assoluta, Haneke firma, con inquadrature nette e precise, il suo miglior film, confermandosi maestro nella poliedrica arte cinematografica. Sceneggiatura impietosa, fotografia inflessibile, casting rigoroso: una vera lezione di cinema austero. Dopo il successo all'ultimo Festival di Cannes, la pellicola arriva sugli schermi italiani.
(di Fausto Furio Colombo da Kult N.11 novembre 2009)

08 novembre 2009

44/2009 – Una croce sull’Italia


Settimana del crocefisso quella che si è appena conclusa. Non se ne era mai parlato tanto dopo la sentenza europea che proibisce il crocefisso nei luoghi pubblici come le scuole si sono moltiplicati gli argomenti pro e contro, moltiplicati e ripetuti.
A favore del crocefisso, più o meno decisamente, (raccapricciante su YouTube il delirio di Ignazio La Russa), tutte le forze politiche di destra e di sinistra.
A favore della sentenza di Strasburgo non soltanto i classici pochi anticlericali (illuminante su Il manifesto l’intervento di Dario Fo), ma anche non pochi credenti cristiani. Convinti, questi ultimi, cattolici e protestanti, che il crocefisso debba stare al posto che è veramente suo, nel rispetto della laicità. Così in un comunicato di Noi siamo chiesa: «Il crocefisso è un simbolo religioso su cui meditare nel accoglimento della propria preghiera personale e comunitaria. Come simbolo (improprio) della identità e della cultura nazionale esso viene usato strumentalmente da tutta la destra miscredente (quella degli atei devoti e di quelli che adorano il Dio Po) e da quella cristiana fondamentalista».
Fanno riflettere anche gli argomenti delle autorità cattoliche contro la sentenza di Strasburgo. Il crocefisso si dovrebbe mantenere perché simbolo non tanto di una vicenda religiosa quanto dell’unità e della cultura nazionale. Una sorta di declassazione. Non più il Gesù storico, dunque, ma un simbolo nazionale, portatore di unità tradizionale. Un po’ come la lingua o il costume. O la bandiera. Uno spostamento di prospettiva che rappresenta una vera e propria degradazione del crocefisso. Gesù destoricizzato perché sia «di tutti». È il prezzo che l’autorità cattolica è pronta a pagare per mantenere la sua
universalità?
Dissacrante infine il giudizio di Pedro Almodovar, a Roma per presentare il suo ultimo film Gli abbracci spezzati, in sla dal prossimo venerdì: «Il crocifisso? È un'icona pop che, nelle mie pellicole, è poco più di un elemento decorativo».

VISIONS DE LA SEMAINE
Sur grand écran
:-)) Mary and Max di Adam Elliot
:-) Michael Jackson’s This Is It di Kenny Ortega
:-) 500 Days of Summer di Marc Webb

Sur petit écran
:-) The 40 years Old Virgin di Judd Apatow
:-)) Chopper di Andrew Dominik
:-))) Lasciami entrare di Tomas Alfredson
:-))) The Wire (seconda stagione US)

UFC 104
Terminata la terza stagione US di Mad Men

01 novembre 2009

43/2009 – Morire di carcere


La morte di Stefano Cucchi sgomenta per il peso di omissioni, sciatterie, menzogne che hanno accompagnato un calvario si sette giorni, dal fermo all’autopsia. E’ una vicenda che condensa in se tutti i malanni e le contraddizioni del funzionamento della giustizia, del carcere non trasparente, della legge sulla droga.
Stefano Cucchi non è un caso isolato, purtroppo. Che cosa dicono oggi i nomi di Marco Ciuffreda, di Giuseppe Ales, di Alberto Mercuriali, di Roberto Pregnolato, di Stefano Frapporti, di Aldo Bianzino? Sono persone morte in carcere in circostanze non chiare o suicidatesi per reazione all’arresto legato alla detenzione di pochi grammi di stupefacenti. Sono persone presto dimenticate o su cui neppure si è acceso l’interesse dei media e delle istituzioni.
C’è da augurarsi che questa volta le indagini procedano speditamente per arrivare a conclusioni non desolanti e non deludenti. Si tratta di sapere subito con precisione come sono andate le cose. Questa sarebbe la prima conquista di verità e di giustizia. Basterebbe che uno di quelli che ha visto Stefano Cucchi nei sei giorni del suo martirio rompesse il muro del silenzio gridando
ad alta voce: «Non è caduto dalle scale». La seconda, di non avere riguardi verso gli eventuali colpevoli, qualsiasi divisa essi indossino. Purtroppo le affermazioni del ministro La Russa pare non vadano in questa direzione.

VISIONS DE LA SEMAINE

Sur petit écran
:-) L’homme blessé di Patrice Chéreau