INDICAZIONE DI VOTO

Per le decisioni che le elettrici e gli elettori dovranno adottare per il 21 giugno c’è una igiene politica ed istituzionale da garantire. È quella che impone di eliminare dal terreno dello scontro gli equivoci, le distorsioni, le falsità della campagna referendaria. I promotori del referendum ed i loro sostenitori, nel condannare il sistema elettorale vigente per la Camera dei deputati e per il Senato, il «porcellum», lasciano credere che il Sì eliminerebbe le perversità di tale sistema. Non è vero. Le moltiplicano. I quesiti non riguardano il meccanismo di scelta dei membri del Parlamento, lo lasciano inalterato. Non restituirebbero affatto alle elettrici ed agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti al Parlamento. Lascerebbero questo potere ai capipartito e lo legittimerebbero col voto popolare. Il «porcellum» si raddoppierebbe. I quesiti non eliminano, né riducono il premio di maggioranza, lo lasciano così com’è. Col Sì il voto popolare lo legittimerebbe. Il «porcellum» si triplicherebbe. Non basta. Con l’approvazione dei quesiti, una lista che rappresentasse il 30, 25, anche solo il 20 per cento dell’intero elettorato ma un solo un voto in più di ciascuna delle altre, otterrebbe il premio, assurdo e truffaldino, del 55 per cento dei seggi alla Camera ed anche maggiore al Senato. Il «porcellum» verrebbe quadruplicato. I promotori del referendum ed i loro seguaci affermano che votando Sì si costringerebbe il Parlamento ad approvare una nuova legge elettorale. È falso. Non esiste parlamento al mondo che così sfacciatamente può eludere, contraddire, vanificare un voto popolare. Come sarebbe d’altronde possibile tale rovesciamento della volontà delle elettrici e degli elettori in presenza, peraltro, maggioritaria della forza politica che trarrebbe tale, enorme, anche se scandaloso vantaggio da un voto popolare siffatto?Ma quale rispetto dimostrano i promotori del referendum ed i loro seguaci per la sovranità popolare? C’è un precedente che va ricordato. Nel 1993, a seguito del risultato del referendum celebrato in quell’anno, si propose di introdurre un sistema elettorale diverso da quello emerso dalle urne e fu proprio uno dei promotori di quel referendum, che è anche tra quelli del 21 giugno, che si oppose giustamente a qualunque modifica di quel risultato, proprio in ragione della intangibilità della volontà manifestata dal corpo elettorale. I promotori ed i loro seguaci ci contestano il diritto all’astensione, cioè allo strumento sicuro per far fallire questo referendum. La contestazione è infondata. Non si tratta di uno strumento illegittimo. È lo stesso che nelle assemblee parlamentari viene usato quando la minoranza si oppone nel modo più radicale possibile ad una deliberazione per segnalarne la gravità e lasciarne tutta intera la responsabilità a chi la propone sfidandolo a dimostrare il consenso sufficiente all’approvazione. Non si vede perché non sarebbe utilizzabile per una deliberazione del corpo elettorale una forma di opposizione praticata dalla sua rappresentanza politica. Tra deliberazione parlamentare e deliberazione del corpo elettorale, quanto a condizione di validità, c’è infatti perfetta corrispondenza. A statuirla è la Costituzione agli articoli 64, terzo comma, e 75, quarto comma. Certo, quello dell’astensione è uno strumento estremo. Ma è quello più adeguato a impedire la mistificazione della democrazia rappresentativa degradandola a procedura di investitura per un uomo solo cui attribuire il potere di governo, quello di dettare, mediante i suoi agenti, la legislazione e, attraverso questa, i contenuti della giurisdizione, quello di usare il 55 per cento di tali fiduciari per determinare l’elezione del Presidente della Repubblica, dei
cinque giudici costituzionali, della stessa potestà di modificare la Costituzione aggirando la garanzia del referendum con l’apporto di qualche minoranza parlamentare. Solo l’astensione, infatti, può impedire la distorsione golpista che determinerebbe la vittoria del Sì.
di Gianni Ferrara da “il manifesto” del 19 giugno 2009
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