60ème FESTIVAL de CANNES – jour 12
Cannucce.
Per dodici giorni il tempo non si è fermato a Cannes. Col susseguirsi dei film, “toutes sections confondues”, sugli schermi è passato il mondo. Ci siamo entusiasmati ed incantati ma abbiamo pure imprecato. Per il suo sessantesimo anniversario il Festival di Cannes ha mantenuto la sua principale promessa: tutto o niente per il cinema. Tanto che la giuria presieduta dal “radicale” Stephen Frears è stata all’altezza di questo trattato permanente di passioni. Premiando 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, il film del giovane romeno Cristian Mungiu, è innanzi tutto un nuovo e talentuoso regista che si è voluto distinguere. Ma è anche una cinematografia che, come tutte quelle degli ex paesi dell’est, comincia a rinascere dall’apocalisse tanto estetica quanto finanziaria consecutiva alla caduta del muro. La presenza fra i premiati del film di Fatih Akin, tedesco di origine turca, è anche sintomo che, al di là delle qualità innegabili di questa opera, la geopolitica ha avuto il ben servito dalla giuria nel momento in cui l’Europa esita ad allargarsi. Stesso discorso per Persepolis, il film d’animazione di Marjane Satrapi narrante la vita quotidiana degli adolescenti iraniani, il cui riconoscimento non deve aver fatto scorrere champagne a Teheran. Il film di Fatih Akin s’intitola Auf der anderen Seite (Dall’altra parte). Se la paura degli altri, e dunque di se stessi, è stata un fil rouge di tanti film presentati al Festival, possa questo esordio a guardare verso l’altra parte essere uno slogan per l’avvenire. E non solo per il cinema.
Per dodici giorni il tempo non si è fermato a Cannes. Col susseguirsi dei film, “toutes sections confondues”, sugli schermi è passato il mondo. Ci siamo entusiasmati ed incantati ma abbiamo pure imprecato. Per il suo sessantesimo anniversario il Festival di Cannes ha mantenuto la sua principale promessa: tutto o niente per il cinema. Tanto che la giuria presieduta dal “radicale” Stephen Frears è stata all’altezza di questo trattato permanente di passioni. Premiando 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, il film del giovane romeno Cristian Mungiu, è innanzi tutto un nuovo e talentuoso regista che si è voluto distinguere. Ma è anche una cinematografia che, come tutte quelle degli ex paesi dell’est, comincia a rinascere dall’apocalisse tanto estetica quanto finanziaria consecutiva alla caduta del muro. La presenza fra i premiati del film di Fatih Akin, tedesco di origine turca, è anche sintomo che, al di là delle qualità innegabili di questa opera, la geopolitica ha avuto il ben servito dalla giuria nel momento in cui l’Europa esita ad allargarsi. Stesso discorso per Persepolis, il film d’animazione di Marjane Satrapi narrante la vita quotidiana degli adolescenti iraniani, il cui riconoscimento non deve aver fatto scorrere champagne a Teheran. Il film di Fatih Akin s’intitola Auf der anderen Seite (Dall’altra parte). Se la paura degli altri, e dunque di se stessi, è stata un fil rouge di tanti film presentati al Festival, possa questo esordio a guardare verso l’altra parte essere uno slogan per l’avvenire. E non solo per il cinema.
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