19/2008 – Quei bravi ragazzi

Per Gianfranco Fini bruciare le bandiere israeliane alla fiera del libro di Torino è più grave che uccidere a freddo.
A soli cinque giorni dal suo discorso solenne e furbo d’insediamento alla presidenza della camera, nel quale si era incoronato da solo paladino e arbitro del Vero e del Giusto contro il nuovo «male del secolo» che sarebbe il relativismo culturale, Fini getta clamorosamente la maschera politica e quella (si fa per dire) intellettuale.
I due fatti, di Verona e di Torino, «non sono paragonabili», però lui li paragona eccome. Per giudicarli non secondo un criterio di verità, o più umilmente di umanità come il caso vorrebbe (c’è qualcosa di meno umano che ammazzare di botte qualcuno per una sigaretta?), bensì secondo il più relativo nonché disumano dei criteri.
La contestazione torinese (lui la chiama «astio antisemita giustificato con una politica antisionista») è più grave, sostiene, dell’assassinio veronese, perché la prima è ideologica, la seconda è casuale.
Lì c’è violenza politica, qua c’è criminalità comune «con una distorta ideologia nazista nella testa».
S’è mai sentito un criterio più relativo di questo?
E un cinismo politico più becero e più autoreferenziale?
Dal 14 al 25 maggio L’incertain regard trasloca a Cannes per seguire, con post quotidiani, la 61ima edizione del festival cinematografico.
Écoutes de la semaine
Hard Candy di Madonna
A soli cinque giorni dal suo discorso solenne e furbo d’insediamento alla presidenza della camera, nel quale si era incoronato da solo paladino e arbitro del Vero e del Giusto contro il nuovo «male del secolo» che sarebbe il relativismo culturale, Fini getta clamorosamente la maschera politica e quella (si fa per dire) intellettuale.
I due fatti, di Verona e di Torino, «non sono paragonabili», però lui li paragona eccome. Per giudicarli non secondo un criterio di verità, o più umilmente di umanità come il caso vorrebbe (c’è qualcosa di meno umano che ammazzare di botte qualcuno per una sigaretta?), bensì secondo il più relativo nonché disumano dei criteri.
La contestazione torinese (lui la chiama «astio antisemita giustificato con una politica antisionista») è più grave, sostiene, dell’assassinio veronese, perché la prima è ideologica, la seconda è casuale.
Lì c’è violenza politica, qua c’è criminalità comune «con una distorta ideologia nazista nella testa».
S’è mai sentito un criterio più relativo di questo?
E un cinismo politico più becero e più autoreferenziale?
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