L'ORCO

Dalla premessa che l’embrione è vita umana, l’Orco inferisce che l’aborto è omicidio e quindi va sospeso in tutto il mondo. A nulla vale ricordargli che l’aborto è moralmente giustificato quando in gioco c’è la salute della madre o l’embrione è gravemente malato; e che comunque spetta alla madre decidere: l’Orco si dice d’accordo con la 194, ma insiste (ci sono le elezioni) con gli effetti truculenti di cui è maestro. Per persuadere il lettore che la guerra in Iraq era giusta non esitò a pubblicare sul suo Foglio quattro pagine a colori di foto di ostaggi decapitati dai terroristi di Al Qaeda, anche se Saddam e l’Iraq non c’entravano nulla con Al Qaeda, e i terroristi che tagliavano teste erano la conseguenza di quella guerra. Grand Guignol retorico: dice che le donne non sono assassine (e intanto lo implica); accosta la pena di morte all’aborto (un déjà vu che ha una sua ironia tragica: all’Onu, questa strumentalizzazione fu usata da sei stati per opporsi alla moratoria della pena di morte. Erano Egitto, Libia, Iran, Sudan, Usa e Vaticano! ); si augura di avere la sindrome di Klinefelter (e chiede a sua moglie di pregare affinché gli esami clinici lo confermino, una richiesta che è tutta una poetica); invoca che tale sindrome sia cancellata dalla lista delle malattie che giustificano l’aborto (non c’è mai stata nessuna lista del genere); vuole seppellire i feti abortiti (che però non sono persone, e infatti la Chiesa non li battezza); affigge in tutt’Italia manifesti con la scritta «Abortisce per un reality» (notizia falsa ); si atteggia a convertito (ma un convertito senza carità è solo un inquisitore che sorveglia e punisce); fa una similitudine impropria fra libertà delle donne e demografia coatta in Cina (in realtà questa è contro quella); si supera col paragone osceno fra aborto e Shoah. Insomma una provocazione continua, un insistente marchiare con infamia. Poi si offende se lo contestano ai comizi, che sono il suo piccolo teatro dell’atroce (l’obbrobrio come anatomia politica: frugare nel corpo delle donne, disarticolarlo, ricomporlo, è al contempo un rituale di supplizio e una tecnica di potere). Infine trabocca: «Sulle porte delle cliniche abortiste dovrebbe esserci lo slogan ’Abort macht frei’ così come all’ingresso di Auschwitz c’era scritto ’Arbeit macht frei’». E qui un lettore gli dà del fesso: aborto in tedesco si dice abtreibung. «Abort macht frei» significa «La latrina rende liberi».
Lo ritrovo dove l’avevo lasciato.
di Daniele Luttazzi da "il manifesto" del 19 marzo 2008
di Daniele Luttazzi da "il manifesto" del 19 marzo 2008
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