SUICIDIO POLITICO

Romano Prodi è caduto con la stessa ostinata sicurezza con cui aveva brindato in una triste festa notturna di piazza il 10 aprile di due anni fa. Fermo nel voler portare fino in fondo la propria sfida alle leggi della matematica e della politica. Si è presentato al senato sapendo che gli avrebbero sparato addosso e lui ha mostrato il petto lanciando ai suoi cecchini un avvertimento inascoltato: «Dopo di me il diluvio». Avversari vecchi e nuovi gli hanno concesso l’onore delle armi e della coerenza parlamentare. Poi hanno sparato. Ma la sua ostinazione copre solo in piccola parte il lento ma inesorabile suicidio politico dell’Unione sfociato nella crisi di governo. A spiegarla non basta la debolezza numerica - frutto di una legge elettorale inguardabile - che in questi mesi ha trasformato il senato in una sorta di ring. Né l’eterogeneità della coalizione e nemmeno la vaghezza di un programma troppo generico e al tempo stesso corposo. Su queste radici sono cresciuti due problemi che hanno portato al collasso. In primo luogo il progressivo allontanamento dalle attese degli elettori - badando più agli equilibri interni e alle compatibilità di bilancio. Più che in parlamento Prodi è rimasto solo nel paese: coperto a sinistra dal sacrificio di chi veniva sempre indicato come il possibile «traditore», ha deluso le attese di quella parte dell’elettorato che più di ogni altra chiedeva una svolta dopo il quinquennio berlusconiano. Alla fine è caduto da destra, come era ampiamente prevedibile. In secondo luogo, a destabilizzare un quadro politico diventato la principale se non unica attenzione del premier, è arrivato il parto del Pd, determinando un dualismo di potere che non poteva
durare. E così è stato proprio il «suo» partito a togliere il terreno sotto i piedi a Romano Prodi. Tra le macerie che ora si cercherà di raccogliere in qualche modo per evitare le elezioni anticipate, emerge la sconfitta della sinistra che pagherà i costi più alti di una scommessa perduta: contrattare l’alternativa sociale sul tavolo di governo. Ma si profila anche il sordo rovello del Partito democratico, concepito per vivere al potere e oggi posto di fronte alla scelta tra un’opposizione che non sa più cosa voglia dire e cercare alla sua destra i partner di una futura alleanza. Un bel disastro: complimenti a tutti.
durare. E così è stato proprio il «suo» partito a togliere il terreno sotto i piedi a Romano Prodi. Tra le macerie che ora si cercherà di raccogliere in qualche modo per evitare le elezioni anticipate, emerge la sconfitta della sinistra che pagherà i costi più alti di una scommessa perduta: contrattare l’alternativa sociale sul tavolo di governo. Ma si profila anche il sordo rovello del Partito democratico, concepito per vivere al potere e oggi posto di fronte alla scelta tra un’opposizione che non sa più cosa voglia dire e cercare alla sua destra i partner di una futura alleanza. Un bel disastro: complimenti a tutti.
di Gabriele Polo da "il manifesto" del 25 gennaio 2008
1 Comments:
Non sono affatto d'accordo con Gabriele Polo.
Prodi ha fatto bene ad andare alla conta dei voti, a rendere pubblica la discussione (anzi, per essere precisi, la trivialità della discussione e la povertà delle argomentazioni) e a rendere ben chiaro e visibile chi, alla fine, pur tra tante perplessità è rimasto fedele al patto di governo (e con gli elettori) e chi invece si è smarcato: Mastella, Fisichella, Dini e compagnia brutta.
Non è stata "ostinazione" da parte di Prodi, ma un atto di chiarezza e di risoluzione di una situazione che ormai non era più sostenibile né prorogabile.
D'altro lato, non capisco davvero che cosa Polo avrebbe voluto che Prodi facesse. Dimettersi prima del voto di fiducia: ma per fare cosa? Per essere (forse) nominato a capo di un governo "istituzionale"? Di una "grande coalizione"? Per ottenere un nuovo mandato e governare con la stessa coalizione, nella speranza di recuperare sottobanco Mastella e Dini? Davvero non capisco.
Facile criticare, meno facile proporre. E davvero non si capisce che cosa Polo proponga. Sotto sotto albeggia il solito vizio capitale (oserei dire il peccato originale) di una certa sinistra italiana. Quello di preferire un ruolo di opposizione, una riserva indiana in cui preservare la purezza delle proprie idee, piuttosto che "sporcarsi le mani" e governare il paese, anche a costo di fare compromessi con le altre forze politiche con cui ottenere la maggioranza dei voti e presentare un programma di coalizione che rappresenta un minimo comun denominatore.
In Italia c'è bisogno di sinistra, anche e soprattutto di quella cosiddetta radicale, visto che quella confluita nel PD non è al momento raggiungibile.
Ma una sinistra di governo, non una sinistra à la Turigliatto che si limita a preservare la propria "purezza" in un piccolo recinto di opposizione, lasciando al governo Berlusconi-Storace-Bagnasco il compito di governare. Questo è un atteggiamento adolescenziale.
Poi un giorno, di solito, diventi adulto e scopri di dover venire a patti con la realtà.
28 gennaio 2008 alle ore 01:53
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